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Il Pinot Nero di Elisabetta Dalzocchio

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Mi piace pensare ci siano vini che ti guardano di lato, quando tu invece provi a fissarli negli occhi.

Sono passati circa tre anni dal mio primo assaggio di Pinot Nero di Elisabetta Dalzocchio, era un 2008 che mi aveva folgorato per personalità e per temperamento. Da allora nel bicchiere ne sono passati tantissimi altri, a coprire buona parte del decennio, ed è bellissimo – ripensandoci – riscontrare un crescendo qualitativo che ha pochi altri pari. Vini sempre più buoni, vini sempre più appaganti. Ci ripensavo qualche giorno fa mentre assaggiavo un 2001 recuperato casualmente in un’enoteca trentina (uno di quei colpi di fortuna che vorresti succedessero più frequentemente). Un vino maturo senza essere stanco, più giocato sulle sottigliezze che sulle intensità. Non un mostro di complessità, anzi. Un assaggio però coinvolgente, uno di quelli che stupiscono per l’apparente semplicità con cui riescono a guardarti. Senza veli.

Un vino se volete un po’ naïf, lontano anni luce dalla personalità del 2009 attualmente in vendita. Perchè in effetti no, non credo di aver scritto che il 2009 oggi è in una forma strepitosa, e che è forse il Pinot Nero italiano più sorprendente abbia mai bevuto. Per non parlare del 2010, la curiosità è alle stelle. In particolare dopo aver sentito Elisabetta dire che “si, il 2010 è un vino che mi piace molto“.


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